Se in internet delle cose delineavo una realtà che, se comincia a fare capolino, richiederà ancora tempo per diffondersi e mostrare i suoi benefici, rimanendo all’interno delle nostre mura domestiche le cose sono ben diverse, e la casa ‘intelligente’ è già da tempo una possibilità concreta.
Anche se sono ancora molto pochi gli apparecchi che nascono con funzioni di controllo remoto, sono da tempo disponibili piccoli ed economici dispositivi in grado di controllare a distanza l’accensione e lo spegnimento di elettrodomestici, peraltro facilmente installabili senza alcuna necessità di interventi tecnici. Essendo pensati per l’uso domestico non richiedono infrastrutture invasive, come fili o predisposizioni speciali. Basta inserirli in una presa, come un normale adattatore passante
per avere la possibilità di accendere e spegnere elettrodomestici, o controllare la luminosità delle lampadine, con strumenti informatici.
Il controllo è sempre effettuato senza fili: praticità e semplicità sono essenziali in ambiente domestico, in cui è sconveniente pensare ad un cablaggio tradizionale. Agli albori del settore, nei primi anni ’90, si utilizzava una tecnologia, X10, analoga al powerline, ma negli ultimi anni si è passati alle onde radio, sebbene con sistemi diversi dal WiFi usato per i computer. Ad oggi non si è ancora imposto uno standard universale, ed convivono quindi svariate diverse tecnologie. Le principali sono due: Z-wave e ZigBee.
Entrambi i sistemi hanno caratteristiche abbastanza simili: sono in grado di costruire autonomamente una rete a maglie (mesh network), in cui tutti i dispositivi (nodi) sono in grado di collaborare per lo smistamento dei dati. A differenza del WiFi, che invece ha un punto di distribuzione centralizzato, questo approccio consente di coprire facilmente anche grandi superfici, visto che è sufficiente che i dispositivi di vedano l’un l’altro. Sono inoltre dispositivi a bassissima potenza, caratteristica indispensabile per potere collegare dispositivi alimentati a batteria.
La tecnologia z-wave è sostenuta da un consorzio di produttori, la Z-wave Alliance, e complessivamente offre al momento una offerta migliore, sia per quantità che per contenuti, rispetto a ZigBee, che è invece uno standard ufficiale della IEEE, l’associazione internazionale per la promozione delle scienze tecnologiche.
Per costruire un sistema di automazione domestica, o domotica, è sufficiente aggiungere alle periferiche un sistema di controllo. La scelta è molto varia. Ci sono sistemi preconfezionati, come Fibaro o Vera, ma è possibile anche ricorrere a soluzioni fatte in casa, accoppiando piattaforme open source come OpenHab a microcomputer come Raspberry Pi o Intel NUC e ad una chiavetta Z-wave o ZigBee.
Sia che si opti per il preconfezionato che per il fai da te, il risultato è quello di avere un sistema di gestione centralizzata in grado di assolvere a molte funzioni.
La principale è, ovviamente, quella di controllo: da un cruscotto virtuale è possibile avere uno sguardo d’assieme di tutte i dispositivi di casa e di comandarli singolarmente. E’ anche possibile creare degli scenari: una sorta di situazioni predefinite, che interessano più dispositivi, e che sono richiamabili con un singolo comando. L’esempio classico è il passaggio da un assetto diurno a quello notturno, che potrebbe comprendere l’abbassamento di tutte le tapparelle di casa, lo spegnimento delle luci, la selezione di una temperature minore per i termostati di casa, e così via. Peraltro, la stragrande maggioranza dei prodotti oggi dispongono di app per dispositivi mobili, per cui è possibile gestire la casa senza problemi anche da remoto.
Ma una cosa ancora più interessante di questo tipo di tecnologie è costituita dalla possibilità di misurare i consumi di energia. Molti dei dispositivi di controllo sono anche in grado di contabilizzare l’energia consumata durante i periodi di accensione. Per applicazioni più sofisticate sono anche disponibili delle periferiche specializzate nella sola contabilizzazione dell’energia.
Anche questi non richiedono installazioni particolari: il flusso di energia è rilevato utilizzando un piccolo captatore a clip, che va agganciato ad uno dei fili di alimentazione del carico da tenere sotto controllo. Misurazione che, peraltro, non è solo limitata all’energia elettrica, visto che sono in vendita sensori grado di misurare il flusso di liquidi o di gas.
In questo modo il sistema domotico aggiunge alle funzioni base di controllo il ruolo di centro di informazione. Possiamo rilevare tutto ciò che ci interessa, come sensori di temperatura, pressione, pioggia o luminosità: oramai sono in produzione tipologie si sensore virtualmente in grado di leggere l’ambiente in cui viviamo.
Sono caratteristiche che già di per sé giustificano l’installazione di impianti domotici, che hanno superato da tempo il ruolo di gadget che una volta avevano. Oggi sono diventati armi per ottimizzare costi e consumi, e nel contempo strumenti per migliorare il comfort.
Il passo successivo, quello che può giustificare la definizione di casa intelligente, è integrare le informazioni della rete dei sensori con le nostre decisioni, rendendo il sistema in grado di reagire autonomamente alle variazioni delle condizioni al contorno. Ad esempio, abbassando automaticamente le tapparelle in caso un temporale, o regolando l’intensità dell’irrigazione di un eventuale giardino in relazione all’umidità del terreno.
Andare oltre le semplici relazioni di causa ed effetto è però ancora qualcosa che spesso richiede il supporto di personale tecnicamente qualificato. Molti dei controllori consentono infatti di essere efficacemente programmati, molto frequentemente utilizzando il linguaggio Lua o sue variazioni. Questo approccio fornisce gli strumenti in grado di leggere dispositivi e sensori, integrare queste informazioni con dati proveniente dalle fonti più disparate, e controllare le apparecchiature con logiche anche molto sofisticate. Utilizzarlo in modo proficuo ed efficiente è però ancora abbastanza complesso, perché richiede competenze non banali di programmazione.
E’ però probabile che siamo ad una significativa svolta nel settore, segnata come sempre dalla discesa in campo dei giganti dell’informatica. Se fino ad oggi la domotica è stato un settore relativamente di nicchia, gli annunci di Apple e di Google sono destinati a imprimere un grande slancio, che inevitabilmente allargherà la platea delle persone interessate.
Apple aveva già annunciato il suo Homekit, una piattaforma per l’integrazione domotica, nella Worldwide Developers Conference dello scorso anno, ma sino ad ora non si era andati oltre l’annuncio. Sembrerebbe però che nei prossimi mesi i primi prodotti compatibili saranno disponibili per la vendita, e quindi sarà possibile conoscere l’impatto che l’evento avrà sugli equilibri del settore. Si tratta però di soluzioni che sono strettamente limitate all’ecosistema di Apple.
Google, da parte sua, ha ufficializzato nelle scorse settimane la sua strategia, che è invece fondata sul concetto dell’interoperabilità, e che è al momento basata su due prodotti.
Il primo è Brillo, un sistema operativo derivato da android (e, quindi, da Linux) e finalizzato all’uso per dispositivi per Internet delle Cose. E’ quindi ottimizzato per apparati a basso consumo e con poca memoria: 32 o 64Mbyte.
Il secondo è invece Weave, una sorta di lingua franca, finalizzata a consentire il dialogo fra apparati di diversi produttori in modo semplice ed affidabile. Weave infatti deriva da standard affermati, la tecnologia JSON largamente utilizzata in ambito web, e non è ristretta ad una specifica piattaforma, ma sarà liberamente implementabile senza problemi.
Questo approccio potrebbe risolvere il problema che più di tutti limita lo sviluppo dell’intero comparto domotico, ma anche più in generale di Internet delle Cose, e che è costituito dalla mancanza di uno standard di fatto, e dalla necessità di verificare, volta per volta, i problemi di compatibilità delle tecnologie impiegate.
La foto del titolo è di SamsungTomorrow, quelle della pagina di AeonLabs e di Vera
1 commento
Complimenti Giorgio per l’articolo e il tuo impegno…
e se ti dicessi che esiste un concept strategico che si focalizza proprio su questa necessità di uno standard?
..noi ci lavoriamo dal 2012..ma come tante startup ci servono aiuti…
magari anche il tuo…
ciao
Pasquale