Forse il nome Elon Musk non dirà molto a chi non segue con attenzione il mondo della tecnologia, ma è indubbio che il magnate statunitente sia uno dei grandi innovatori del XXI secolo. Non solo per avere dato vita ad aziende del calibro di Paypal o Tesla Motors, ma per la sua capacità di costruire business su iniziative che guardano lontano nel futuro, come il sistema di trasporto hyperloop, una sorta di treno che utilizzando campi magnetici ed aria compressa dovrebbe consentire di raggiungere velocità di oltre 1200km/h. Sempre sua è SpaceX, una azienda specializzata nella costruzione di sistemi di trasporto spaziale riutilizzabili, articolati su due grandi progetti – il vettore Falcon9 e la navicella Dragon – che sono già in uso e che stanno rivoluzionando il concetto dell’accesso allo spazio.
Secondo una notizia apparsa nei giorni scorsi sul Washington Post, proprio SpaceX avrebbe chiesto all’ente di regolazione delle telecomunicazioni statunitensi, l’FCC, una autorizzazione per sperimentare un sistema per distribuire internet direttamente dallo spazio, in grado di fornire un servizio ad alta velocità all’intero globo terrestre.
Fino ad oggi per fornire accesso ad internet via satellite si sono utilizzati i grandi satelliti per telecomunicazione geostazionari, gli stessi che distribuiscono le trasmissioni televisive. Per potere apparire ‘fissi’ rispetto ad un punto sulla terra questi ‘giganti’ dello spazio – la loro massa è di svariate tonnellate – compiono un’orbita nello stesso tempo impiegato dalla terra a ruotare attorno al loro asse, e per farlo devono essere posizionati nella cosiddetta ‘fascia di Clarke’, a circa 36.000km di distanza dalla superficie della Terra.
Per usarli come ripetitore un segnale radio deve però percorrere due volte questa distanza, e 72.000km sono una distanza rilevante anche alla velocità della luce. E’ proprio il tempo necessario ad attraversare questo spazio che induce quel ritardo, denominato tecnicamente latenza, che è tipico delle comunicazioni via satellite. Se questo è del tutto ininfluente per i canali radio e televisivi, è invece un problema concreto per le comunicazioni internet. Senza considerare che esistono altri elementi di freno, come la necessità di installare una parabola particolare, che hanno da sempre condizionato la diffusione del satellite geostazionario come veicolo di distribuzione planetario di internet.
L’approccio di SpaceX è invece del tutto differente. Anzichè affidarsi ai bestioni geostazionari, l’idea è quella di lanciare una costellazione di ben 4000 satelliti identici e di piccole dimensioni, ad orbita bassa. E’ una tecnologia, chiamata LEO (da Low Earth Orbit, orbita terrestre bassa), che è impiegata da decenni per svariati ambiti di attività, ma su scala di gran lunga inferiore. In questa categoria rientrano i satelliti del sistema telefonico Iridium, in origine 77, ma anche oggetti di grandi dimensioni, come la Stazione Spaziale Internazionale ISS o il telescopio orbitale Hubble. La vicinanza con la superficie terrestre, i LEO orbitano a qualche centinaio di chilometri, elimina del tutto il problema della latenza.
Nulla è però perfetto, ed anche questa soluzione ha dei limiti: i satelliti ad orbita bassa non solo coprono giusto piccole aree del suolo terrestre, ma muovendosi ad alta velocità sulla volta celeste sono visibili per un periodo di tempo molto breve. Per aggirare entrambi questi problemi la soluzione SpaceX prevede l’uso di un numero incredibilmente ampio di satelliti che, costruiti in proprio e collocati in orbita dai lanciatori riutilizzabili dell’azienda, potrebbero costituire una sorta di replica spaziale di internet, dai costi anche relativamente contenuti.
C’è da dire che annunci di progetti analoghi si susseguono da anni, ma sino ad ora non sono andati oltre la fase progettuale. In questo caso, però, il calibro ed il campo di attività dell’azienda in campo lascerebbero pensare che le cose possano evolvere diversamente, anche perché la richiesta di autorizzazione FCC probabilmente implica che SpaceX abbia già qualcosa di concreto da provare sul campo – o meglio – nello spazio.
Ne sapremo di più a breve.
Nella foto del titolo la capsula Dragon agganciata alla ISS, foto Wikipedia.