E’ di queste ore la notizia che Google ha revocato al colosso cinese Huawey la licenza per il sistema operativo Android. Non sono ancora chiare le reali conseguenze di questa revoca. Sembrerebbe certo che questo possa portare all’interruzione immediata del supporto agli aggiornamenti e delle patch di sicurezza. Nelle ultime ore dal team di Android è giunta notizia che resteranno disponibili, ma solo per i modelli già in commercio, l’accesso a Google Play, alle GApps ed alle app ufficiali.
E’ una nuova escalation nella guerra che si sta consumando fra Stati Uniti e Cina, e che vede noi europei sostanzialmente spettatori. Personalmente ritengo che le questioni tecnologiche addotte in questa contesa siano sostanzialmente un pretesto, e che la vicenda abbia nella politica e nell’economia le sue radici profonde.
Credo, però, che questo evento testimoni per l’ennesimo volta, ed in modo estremamente chiaro, la situazione di grande precarietà in cui ci troviamo, noi del vecchio continente, per quanto riguarda l’intero ambito tecnologico.
Per decenni abbiamo glissato sulla necessità e sulla convenienza strategica di favorire la crescita e lo sviluppo di piattaforme tecnologiche europee. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, se solo ci si soffermasse a guardarlo: oggi la nostra dipendenza dai grandi colossi extraeuropei, sia di oriente che di occidente, è del tutto totale.
Se da una parte abbiamo dato per scontato che gli equilibri geopolitici instauratisi dopo la seconda guerra mondiale sarebbero rimasti immutati a tempo indeterminato, è altrettanto vero che ci è mancata del tutto la visione del futuro e dellla fondamentale importanza che le piattaforme tecnologiche avrebbero assunto nel nuovo millennio. Avremmo dovuto dispiegare strategie per consentire la nascita di controparti europee, sia im ambito hardware che di software e di servizi, ma così non è stato. E la cosa più inquietante è che a contribuire alla creazione di questo stato di dipendenza totale sono stati tantissimi cervelli europei, costretti ad emigrare perchè non hanno trovato a casa loro le condizioni ottimali per sviluppare le proprie capacità.
Quante sono oggi le aziende europee che hanno affidato setttori chiave del loro business a servizi e prodotti che vengono da oltreoceano o dal lontano oriente? Quante realtà affidano quotidianamente tutti i loro dati a fornitori di servizi residenti fuori dal territorio dell’Unione Europea?
Il caso di oggi evidenzia plasticamente quale sia il rischio implicito nel demandare totalmente a terzi aree così importanti della nostra infrastruttura socio economica. Chi detiene il potere – e non siamo certo noi europei – può in un qualsiasi momento chiudere il rubinetto e lasciasci in braghe di tela.
Certo, nonostante i rapporti fra Europa e le nazioni dententrici della tecnologia non siano propriamente idilliaci, lo stadio del confronto non è tale da creare allarmismi o preoccupazioni imminenti.
Ma in un settore così strategico, ed in un ambito talmente fondamentale per la nostra società, anche le ipotesi puramente remote sono da prendere seriamente in considerazione, ed avere pronte risposte adeguate alle sfide. Senza contare che politiche adeguate per colmare il gap europeo nel settore tecnologico potrebbero solo avere un effetto più che benefico per l’economia dell’Europa e dell’Italia. Ma è necessario rompere gli indugi, e cominciare ad operare subito.